Perché crediamo alle fake news? Come funziona la mente nel crearsi un’opinione e quali sono le scorciatoie cognitive che ci inducono in errore? Tecnicamente le euristiche sono scorciatoie cognitive che semplificano la nostra elaborazione della realtà ed aiutano il nostro cervello a non sovraccaricarsi.
La mente tende a giudicare maggiormente credibili le notizie che sono presentate come “virali” e provenienti da TV e quotidiani, ma stanno prendendo sempre più piede i canali alternativi come Telegram o alcuni gruppi Facebook, spesso gestiti da chi, sulle notizie false o manipolate, ci sguazza e soprattutto ci guadagna. Secondo Marlen Boudhina-Lutz, psicologa che ha studiato la diffusione della disinformazione alla Yale University, ci sono alcuni meccanismi che ci fanno credere alle fake news: la nostra mente attua una serie di scorciatoie cognitive, chiamate euristiche, che semplificano la nostra elaborazione della realtà ed aiutano il nostro cervello a non sovraccaricarsi. In più, l’aspetto stesso delle notizie maggiormente virali è la reiterazione: quanto più sentiamo ripetere una notizia tanto più aumenta la fiducia che ripetiamo verso quella informazione.
Capiamo insieme perché crediamo alle fake news, il ruolo dei social e il funzionamento del nostro cervello.
Il tema delle fake news è molto complesso e l’impatto che ha sulle opinioni pubbliche è notevole: moltissimi sono gli studi che hanno preso in esame queste informazioni a livello cognitivo, ma anche a livello spettatoriale. Uno dei principali meccanismi è il fatto che le fake news agiscono sul nostro cervello proprio attraverso le cosiddette scorciatoie cognitive.
Quando si crede una fake news, o meglio quando ci si lascia trarre in inganno dai meccanismi che regolano la nostra mente, questa è guidata da tratti di personalità come la superficialità e l’informalità. Si tende inoltre a favorire le informazioni, più che la veridicità delle stesse, perché la mente tende sempre a preferire le informazioni in possesso. Per questo motivo il fenomeno delle fake news è legato quasi esclusivamente agli aspetti emozionali della persona così come accade con i contenuti ma anche con gli stili retorici adottati.
Tutto questo sta diventando un grande problema, perché da un lato c’è la corsa a fare audience da parte dei media, dall’altra c’è il pubblico che non riesce più a distinguere i media le notizie vere da quelle verosimili o del tutto false. Il paradosso è che questo crea sempre più sfiducia nei confronti dei media più autorevoli e si tende a dare sempre più rilievo alle informazioni che spuntano ora su canali Telegram, ora su piccole emittenti private, come se il fatto di non essere sotto paga degli editori potenti, li metta nella posizione di detenere la verità assoluta sui fatti.
A tutto questo dobbiamo aggiungere che la nostra mente funziona con meccanismi legati ai cosiddetti bias. Un bias cognitivo è lo svantaggio (negativo) delle nostre capacità raziocinanti dovuto a meccanismi mentali che operano in modo scorretto o poco utile.
I bias cognitivi sono veri e propri errori, la scorciatoia preferita dal nostro cervello per processare velocemente le informazioni che riceviamo ogni giorno. Si basano su una percezione parziale della realtà, su pregiudizi che influenzano i nostri pensieri e il nostro potere decisionale.
Per citare la definizione di Wikipedia, un bias cognitivo è “un giudizio (o un pregiudizio) non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppato sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio”.
L’origine dei bias cognitivi è da cercare nel modo in cui il cervello processa le informazioni che le persone ricevono nel loro quotidiano; troppi stimoli possono causare una sorta di “sovraccarico informativo” e – per evitarlo – il cervello ricorre a una serie di stratagemmi: questi “trucchetti” di solito ci aiutano a gestire le informazioni senza esserne sopraffatti ma, quando sono applicati al contesto sbagliato, ci portano a pensare e a comportarci in maniera irrazionale e/o illogica, originando i bias cognitivi.
Facendo leva su alcuni bias cognitivi è possibile attirare l’attenzione dei lettori, portandoli credere fatti che non sono suffragati da fonti sicure e autorevoli.
Quali sono i Bias più comuni?
Bias di conferma
A ciascuno di noi piace essere d’accordo con le persone che sono d’accordo con noi e ciascuno di noi tende ad evitare individui o gruppi che ci fanno sentire a disagio: questo è ciò che lo psicologo B.F. Skinner (1953) ha definito “dissonanza cognitiva”. Si tratta di una modalità di comportamento preferenziale che porta al bias di conferma, ovvero l’atto di riferimento alle sole prospettive che alimentano i nostri punti di vista preesistenti.
Bias di gruppo
Messaggio pubblicitario
Molto simile al bias di conferma è il bias di gruppo, che ci induce a sopravvalutare le capacità ed il valore del nostro gruppo, a considerare i successi del nostro gruppo come risultato delle qualità dello stesso, mentre si tende ad attribuire i successi di un gruppo estraneo a fattori esterni non insiti nelle qualità delle persone che lo compongono. Le valutazioni affette da queste tipologie di distorsioni cognitive possono risultare poco chiare a chi viene valutato, che spesso non comprende le basi sulle quali la valutazione si fonda e che invece nota, d’altra parte, un’eccessiva intransigenza di pensiero.
Bias di Ancoraggio
O trappola della relatività, è un bias per il quale nel prendere una decisione tendiamo a confrontare solo un insieme limitato di elementi: l’errore è quello di ancorarsi, cioè fissarsi su un valore che viene poi usato, arbitrariamente, in modo comparativo, cioè come termine di paragone per le valutazioni in atto, invece che basarsi sul valore assoluto.
Dan Ariely, un economista comportamentale, fa l’esempio con l’acquisto di una barretta di cioccolato: la prima, non di marca, costa 1 penny al pezzo, l’altra invece di marca costa 15 centesimi. Vista la presunta migliore qualità del cioccolato della barretta di marca, questa si configura come un’occasione, infatti la maggior parte dei consumatori scelse di acquistare proprio la seconda barretta. In un secondo esperimento, vennero usate le stesse due barrette di cioccolato, ma scontate entrambe di 1 centesimo: cioè la prima barretta era gratis e la seconda costava 14 centesimi. L’offerta continuava ad essere vantaggiosa per la barretta di marca, ma nonostante questo la maggior parte dei compratori scelse la barretta non di marca.
Fallacia di Gabler
Un altro bias cognitivo frequente è la cosiddetta fallacia di Gabler, ovvero la tendenza a dare rilevanza a ciò che è accaduto in passato, così che i giudizi attuali siano del tutto influenzati da tali eventi passati. In virtù di questo bias cognitivo chi ha ricevuto un giudizio positivo nel passato tenderà a ricevere un giudizio positivo anche nel presente, anche a dispetto delle reali prestazioni attuali, che potrebbero essere negative o in calo rispetto a quelle passate. Insomma…“è la prima impressione quella che conta!”
Nell’errore per somiglianza, apprezziamo nell’altro aspetti simili a quelli che riconosciamo in noi stessi; mentre nell’errore per contrasto, al contrario, apprezziamo i tratti di personalità diametralmente opposti ai nostri: il risultato può portare a sovrastimare negli altri quei tratti che riconosciamo opposti ai nostri. Per esempio se siamo timidi o introversi saremo indotti da questo bias cognitivo a giudicare gli altri più sicuri ed estroversi di quanto siano in realtà.
Bias di proiezione
Simile è il bias di proiezione: per il quale pensiamo che la maggior parte delle persone la pensi come noi. Questo errore cognitivo si correla al bias del falso consenso per il quale riteniamo che le persone non solo la pensino come noi, ma anche che siano d’accordo con noi! In sostanza è un bias cognitivo che ci indice a sopravvalutare la “normalità” e la “tipicità”.
Bias della negatività
Comporta un’eccessiva attenzione rivolta verso elementi negativi, che vengono anche considerati come i più importanti. A causa di questa distorsione cognitiva, si tende a dare maggior peso agli errori, sottovalutando i successi e le competenze acquisite ed attribuendo così una valutazione negativa alla prestazione.
Bias dello status quo
E’ una distorsione valutativa dovuta alla resistenza al cambiamento: il cambiamento spaventa e si tenta di mantenere le cose così come stanno. La parte più dannosa di questo pregiudizio è l’ingiustificata supposizione che una scelta diversa potrà far peggiorare le cose.
Bias del pavone
(self-enhancing transmission bias): per il quale siamo indotti a condividere maggiormente i nostri successi, rispetto ai nostri fallimenti. L’uso che la maggior parte delle persone fa dei social è una fotografia esaustiva di questo tipo di bias, sui social infatti le persone tendono a mostrare per lo più un’ immagine positiva di sé, tanto da far sembrare la vita di tutti ideale.
Illusione della frequenza
(frequency illusion): il cervello tende a selezionare informazioni che ci riguardano – per esempio a farci notare donne con i capelli corti se per esempio ci siamo appena tagliate i capelli corti o auto rosse se abbiamo appena acquistato una macchina rossa – il nostro errore di valutazione è quello di credere che ci sia realmente un incremento nella frequenza di donne con i capelli corti o di macchine rosse, cioè tendiamo a sovrastimare la frequenza di informazioni che ci riguardano.
Bias del presente
Nel bias del presente, detto anche hyperbolic discounting, le decisioni vengono prese per ottenere una gratificazione immediata, ignorando le possibilità di guadagno differite nel tempo. Questo atteggiamento influenza i nostri comportamenti in 3 importanti aree della nostra vita: l’alimentazione, la vita professionale e i risparmi.
In uno studio condotto da Read & van Leeuwen (1998), il 74% dei partecipanti sceglieva la frutta quando doveva decidere cosa mangiare la settimana successiva. Ma dovendo decidere cosa mangiare subito il 70% sceglieva il cioccolato! Lo stesso vale per denaro: siamo molto ben disposti ad approfittare di sconti nel momento presente, rimandando al futuro la preoccupazione per le spese più impegnative. Chi si occupa di marketing crea infatti proposte ad hoc che ci inducano ad accettare di comprare un prodotto grazie a uno sconto o a un “regalo” iniziale, vantaggio che viene perso sul lungo periodo ma che, proprio per effetti del bias del presente, non valutiamo.
Il bias del presente entrerebbe in gioco più facilmente anche sulla base del tono dell’umore: Una ricerca condotta da un team di ricercatori della Harvard Kennedy School of Government e della Columbia University ha studiato in che modo l’impazienza causata dalla tristezza può produrre notevoli perdite finanziarie. Utilizzando i dati raccolti dall’Harvard Decision Science Laboratory e dal Center for Decision Sciences at Columbia, gli autori hanno scoperto che l’emozione di tristezza, indotta dalla visione di un video, induceva i soggetti sperimentali a scelte finanziarie impazienti e miopi: i loro guadagni aumentavano nell’immediato ma diminuivano sul lungo periodo producendo una sostanziale perdita finanziaria. Chi invece era stato assegnato alla visione di un video neutro non andava incontro alle stesse reazioni e i loro guadagni risultavano complessivamente maggiori.
Optimism Bias (Bias dell’ottimismo)
Optimism Bias: Neuroscienze e scienze sociali concordano nel ritenere l’essere umano più ottimista che realista, nonostante ci piaccia pensare di essere creature razionali capaci di fare giuste previsioni sulla base di valutazioni obiettive.
In realtà diversi studi hanno dimostrato che le persone sottostimano la possibilità di divorziare, di perdere il lavoro, di ammalarsi di cancro mentre sovrastimano la propria aspettativa di vita di oltre 20 anni. Questa tendenza a percepire il futuro roseo, anche paragonandolo al passato e al presente, è nota come optimism bias e ci riguarda tutti, maschi e femmine, giovani e non giovani, ricchi e poveri.
Certo è strano immaginare che tale atteggiamento mentale sopravviva anche in tempi di crisi economica e sciagure ambientali, ma la nostra mente se la cava immaginando un difficile futuro per la collettività ma non per noi stessi.
Bias di Omissione
Per bias di omissione si intende quella tendenza sistematica a preferire scelte che comportano l’omissione anziché l’azione, anche quando questo significa esporsi a rischi oggettivamente elevati. A questa conclusione sono giunti Ritov e Baron in un loro studio, in cui hanno condotto dei soggetti di fronte ad una situazione decisionale in un contesto di un’ epidemia letale per i bambini. I partecipanti, prendendo il ruolo di genitori, avrebbero dovuto decidere se sottoporre i propri figli ad una vaccinazione (azione) o meno, sapendo che, in quest’ultimo caso, il rischio di morte sarebbe stato più alto. Molti soggetti si opposero alla vaccinazione, scegliendo la soluzione apparentemente tutt’altro che razionale. La spiegazione data dagli autori è la seguente: la paura di commettere una scelta errata, porterebbe i soggetti ad assumere una posizione passiva in modo da sperimentare un rimpianto minore qualora l’esito fosse la morte del bambino.
Bias d’Azione
I bias d’azione invece sono l’esatto contrario dei bias di omissione, in quanto le persone tenderebbero ad agire anche quando l’azione è meno vantaggiosa dell’omissione. Questo bias è stato studiato da Fagerlin, Zikmund-Fisher e Ubel in un loro esperimento: nel caso di una diagnosi di cancro, i pazienti preferivano sottoporsi a trattamenti (azione), piuttosto che a semplici controlli (inazione), anche se i trattamenti risultavano più dannosi o meno efficaci dell’inazione. Tuttavia, una variabile importante che potrebbe aver influenzato i risultati dello studio è la gravità del cancro dei soggetti.
Questo tipo di bias è anche osservabile nei portieri di calcio durante i calci di rigore: pur sapendo che la strategia ideale per i portieri sarebbe rimanere al centro della porta (inazione), molto spesso ai rigori, il portiere si tuffa in una delle due direzioni laterali (azione).